Recensione: Quello che mi manca per essere intera

Cesare aggiusta l’obiettivo, mette a fuoco e scatta una foto. La prima di me tutta intera.

Quello che mi manca per essere intera
di Ilaria Scarioni
Mondadori

Trama
Bianca vive a Genova e della sua città ama tutto: la vicinanza del mare e il cielo azzurro, le voci che si rincorrono nei vicoli, la schiettezza scontrosa dei suoi abitanti. E Genova la ricambia, avvolgendola di un amore protettivo e materno, fin da quando era una bambina affetta da una patologia congenita che le ha deformato gli arti, costringendola a trascorrere lunghi periodi in ospedale. E tuttavia il calore che sempre ha sentito attorno a sé non le ha impedito di sentirsi diversa, diversa e difettosa. Per riappropriarsi del corpo, Bianca decide di provare a raccontare il suo romanzo personale: torna all'infanzia, ai giorni in ospedale, all'adolescenza, al rapporto con gli uomini. A guidarla nel viaggio ci sono i suoi fantasmi: bambini e medici incontrati in ospedale, ma soprattutto Gerolamo Gaslini, il fondatore dell'Istituto Gaslini, costruito per ricordare la figlia, morta a undici anni. Accanto a Bianca, compagno sollecito e discreto, c'è l'amante fotografo Cesare. Alle prese con l'accettazione della propria malattia, Bianca racconta la fatica di tutti noi, alla ricerca del nostro posto nel mondo e della nostra parte più vera....




Cesare aggiusta l’obiettivo, mette a fuoco e scatta una foto. La prima di me tutta intera.

Le ultime frasi del libro, le più belle e intense perché racchiudono tutto il senso di quelle che le precedono.
Ma facciamo un passo indietro.

Carne difettosa. Carne incompiuta. Malfatta. Sbagliata. Carne deforme. Io sono questo.

E “questo” è Bianca, corpo nato “sbagliato”, con qualche gene che ha voluto fare uno scherzo. Bianca, trentenne genovese, è nata con una malformazione congenita che ha dato un tocco di fantasia alla generazione delle sue mani e dei suoi piedi. Curata e, come dice lei, frugata e indagata per anni all’Ospedale pediatrico “Giannina Gaslini” di Genova, polo di fama internazionale dove oggi svolge l’attività di medico, ha bisogno di ripercorrere gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza per arrivare a sentirsi, finalmente, intera.


Bianca dorme da mezz’ora […]. Dal basso, dal fondo, i suoi piedi spuntano, il sinistro più del destro. Ho pensato che fosse il momento giusto per scattare una foto. La prima.

Ma Bianca non è solo “questo”, Bianca è molto di più, è più bella, più donna di quanto lei stessa riesca a vedersi. Ed è Cesare, il suo compagno, ad aprirci gli occhi sul suo vero Io, attraverso quella macchina fotografica che va oltre l’immagine.

Ciò che terrorizza davvero le persone affette da un qualche morbo è che gli altri, quelli che hanno accanto – amici, parenti, amanti -, smettano di amarli.

Bianca non capisce come gli uomini possano desiderarla e amarla, come possano volere accanto una persona incompiuta, che porta con sé un Buco Nero con le iniziali maiuscole. In questo, le foto che Cesare le scatta, vengono a formare un puzzle che grazie all’amore darà vita alla sua forma piena.


Nina. È imprigionata da cento anni in una vecchia foto. Ha i capelli mossi, la riga da una parte e un fiocco troppo grande dalla parte opposta, al collo la catenina con la medaglietta del battesimo. […] Gerolamo e Nina fanno fatica a parlare, non vogliono ricordare quei giorni, e tutti gli altri che sono seguiti l’uno senza l’altra.
Gerolamo e Nina, padre e figlia, una vita d’amore, un brutto male non curato che ha portato via Ninetta troppo presto. Giannina Gaslini, a lei il padre dedicò l’ospedale che porta tutt’oggi il suo nome, per cercare di alleviare un poco il suo dolore, per cercare di tratte da questo una speranza di salvezza per tanti bambini. Gerolamo e Nina accompagnano Bianca fin dalla sua infanzia, nei suoi pensieri, nelle sue fantasie. Sono per lei sostegno e sfogo, ricordo e consiglio.

Le mamme del Gaslini […] hanno interi manuali di medicina stampati sul cuore. Conoscono la farmacologia, e scrutano le lastre come aruspici chiedendosi che futuro le aspetta. […] Io le guardo con la coda dell’occhio, sbircio il loro dolore e penso a mia madre. […] Mi vergono di essere stata anche io causa di tanto dolore.


Uno dei passaggi più toccanti di tutto il libro, forse perché certe parole fanno vibrare le corde del cuore di una madre ancora prima di aver finito di leggerle. Il pensiero a chi si porta dentro il grande peso di aver dato la vita ad un figlio fisicamente non perfetto, malato, la colpa di non essere stata in grado di generare un corpo sano. La forza da trovare per vedere i corpi dei propri figli “frugati” per giorni, mesi, a volte anni.

Potrei continuare a scriverle per ore, mi sento più tranquilla quando lo faccio, ma come le ho detto è tempo che smetta, e la lasci andare alla sua vita e che io ritorni alla mia, senza di lei, senza fantasmi.


Le lettere e i pensieri che Bianca rivolge a chi l’ha seguita nel suo percorso di “aggiustamento” fisico, il Dottor G., aiutano lei e noi a capire meglio cosa passa per la sua testa, come si sente, come si vede. Un legame, quello con il medico, che negli anni è diventato quasi una dipendenza, anche se solo mentale.

Grazie, Dottor G., grazie di tutto. Magari, un giorno, ci incontreremo tra le vie di Genova, lei mi guarderà ma non saprà riconoscermi, e io, quando accadrà, saprò di essere guarita. Guarita davvero.

Questo primo romanzo di Ilaria Scarioni non è facile da recensire perché non è un libro come gli altri. Non è scritto come un romanzo qualunque. È molto di più, è molto più complesso, molto più labirintico. La stessa scrittura di Ilaria all’inizio può turbare perché non inserita nei canoni stilistici a cui siamo abituati ad attingere. Veniamo sballottati dal presente al passato di Bianca, dalla storia di Gerolamo e Nina agli intervalli focalizzati sui “fantasmi”, dalle lettere al Dottor G. ai brevi pensieri di Cesare. Ma poi ci riprendiamo, e ritroviamo l’equilibrio. Ilaria Scarioni ci accompagna, tenendo le nostre di mani, lungo un percorso fatto di sensazioni forti, a volte quasi istigate dall’uso di termini medico-scientifici che ci frenano, ci fanno riflettere, ci bloccano su un pensiero dal quale, in realtà, vorremmo fuggire: e se capitasse a me?
Chi ha già letto il libro forse storcerà il naso perché tra le mie righe non ho inserito Giorgia, ho appena accennato al Buco Nero e al Dottor G. e non ho solo vagamente citato i fantasmi che accompagnano il racconto di Bianca. Non perché siano meno importanti, anzi, nessun personaggio citato è insignificante, tutti hanno messo un tassello più o meno importante nella vita di Bianca. Semplicemente vanno scoperti, vanno letti. Non possono essere spiegati. Non può essere spiegato il loro valore nell’animo della protagonista.
Spero che non me ne vogliano i lettori e che non me ne voglia Ilaria.
Alla fine del libro ci ritroviamo ad essere noi stessi Cesare, riusciamo a mettere a fuoco l’obiettivo, Bianca e la sua vita, al di là delle sue mani, dei suoi piedi e delle sue gambe.
Riusciamo, finalmente, a vederla intera.

- Annalisa - 

3 commenti :

  1. Dev'essere davvero un romanzo intenso. A volte ci sentiamo incompiuti, pur non avendo nessun tipo di patologia fisica. Non oso immaginare, quindi, ciò che si può provare in una situazione come quella raccontata in questo libro.

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    1. La penso esattamente come te, cara Ale. Infatti dopo aver letto la recensione di Annalisa, voglio assolutamente leggere questo romanzo, per provare a capire come possa essere vivere una situazione come questa.
      Un abbraccio

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  2. Una recensione intensa e perfetta per un romanzo intenso e perfetto... Grazie!

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